La biblioteca

"Ai primi tempi la ricerca del libro aveva avuto un valore strumentale. Doveva rispondere al mestiere che avevo scelto. Poi la mia ricerca si era allargata. E confesso di avere amato il libro, come un tempo il violino, anche per la sua bellezza. […] Ma la bellezza di un libro non si esaurisce nel gusto di vederlo, di ammirarlo. Racchiude un universo di immagini mentali e fantasmi e pensieri da interrogare pazientemente. Perciò non potevo divenire un bibliofilo."

(Frammenti di una autobiografia letteraria)

La biblioteca di Giovanni Macchia, una raccolta d'autore tra le più rilevanti e preziose del Novecento italiano, vincolata dallo Stato già a partire dal 1979, è stata generosamente acquistata nel 1993 dalla Fondazione Roma. L'acquisto, che riservava allo studioso l'usufrutto, prevedeva la donazione dell'intero fondo alla Biblioteca nazionale centrale di Roma. Nel 2003, due anni dopo la morte del critico, la sua collezione dall'appartamento di via Guido d'Arezzo ai Parioli giunse alla Nazionale di Roma, che gli ha dedicato una sala riservata.
La biblioteca macchiana, di eccezionale valore storico e bibliografico, formata da circa 30.000 volumi e documenti che riflettono bene i molteplici interessi dello studioso, è una raccolta stratificata da leggersi a livelli diversi: quasi tre differenti biblioteche, l'una dentro l'altra. Prima di tutto la biblioteca si presenta come un indispensabile strumento di lavoro, dove ampio spazio viene ricoperto dalla letteratura francese: vi sono le opere complete dei più noti autori fino ai contemporanei, le collezioni come quella della Pléiade, i dizionari, le enciclopedie, tra le quali anche l'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert. La sua attività di critico è testimoniata anche dai molti libri che recano tracce del proprio studio - note di lettura, postille - e dai volumi ricevuti in dono con dediche autografe. Inoltre ricchissime sono le sezioni dedicate alla letteratura italiana, alla storia del teatro, ai libri d'arte, alle collane di classici. La biblioteca, quindi, non è solo lo specchio del Macchia studioso, ma anche del Macchia uomo di cultura e lettore attento.

Tuttavia il critico è stato nell'arco della sua vita anche un eccezionale collezionista, lasciandosi affascinare, tra aste e librerie antiquarie, dalla bellezza del libro. All'interno della biblioteca, infatti, sono numerose le prime edizioni, quelle rare o di pregio, molte delle quali accuratamente rilegate. Si tratta spesso di volumi appartenuti a illustri personaggi del passato come dimostrano gli ex-libris o le schede bibliografiche inserite all'interno; è il caso, per esempio, dei volumi provenienti dalla biblioteca dei fratelli Goncourt:

Il libro antico - scrive Macchia in Frammenti di una autobiografia letteraria - ha suscitato sempre in me incredibili slanci della fantasia. Il libro antico ha un suo passato, è vissuto in tante case prima di entrare nella nostra, ha visto passare la malinconia di tante giornate, ha partecipato alla vita quotidiana nella solitudine della lettura, si è salvato dai naufragi e dai terremoti. Ci restituisce miracolosamente il senso di un'epoca. E perciò, quando un volume, appartenuto a un grande scrittore, approda chissà dopo quante peripezie a casa nostra, nasce in noi la suggestione che un po' del calore delle mani che lo hanno sfiorato, e anche un po' del suo pensiero, si sia depositato su quelle carte ingiallite.

Lo studioso considerava quelli del Settecento i suoi libri più belli, preferendo in assoluto l'Orazio dell'editore londinese Pine, "che nel 1733 pensò non a un libro stampato, ma a un libro in due volumi tutto inciso dalla prima all'ultima pagina". Macchia racconta poi di essere molto legato alla prima edizione della Ursule Mirouet di Balzac e soprattutto all'edizione del 1869 di Les fleurs du mal. Ma senza dubbio il libro a lui più caro è quel primo volume delle Oeuvres di Baudelaire nell'edizione della Pléiade, appartenuto a Trompeo, il quale volle che gli fosse donato dopo la sua morte.