Il Quaderno di farmacia di Umberto Ramundo agli inizi del '900(*)

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(*) Relazione presentata nell'incontro: "DAGLI SPEZIALI AI FARMACISTI:
LE RICETTE DI DOMENICO ANGELUCCI, BERNARDO DI CLES,
MARIANO GAJANI E UMBERTO RAMUNDO".
Biblioteca Nazionale di Roma, 19 giugno2007.


Agli inizi del ventesimo secolo le farmacie in Italia svolgevano un'attività multiforme e complessa, di indubbio valore sociale. Si trattava di veri e propri presidi sanitari che costituivano un riferimento affidabile, anche di primo soccorso per tutti i cittadini del comprensorio, i quali erano certi di trovare sempre in caso di necessità il loro farmacista, talvolta ben prima che il medico potesse raggiungerli.
Per conoscere i vari aspetti indicativi di come si svolgesse e si realizzasse a quei tempi il "presidio farmacia", possiamo ripercorrere la storia della Farmacia Verbano, attualmente ubicata nella omonima piazza romana, fin dall'inizio
del XX secolo, utilizzando come preziose testimonianze strumenti e materiali di laboratorio, ricette d'epoca, arredi, locandine pubblicitarie, cartoline, etichette ed altro. In origine la Farmacia Verbano era ubicata nel centro città, in via del Quirinale 44 - nel palazzo Pallavicini-Rospigliosi - ove venne inaugurata e aperta al pubblico nel 1893 dalla dottoressa Maria Farina Pierandrei. Nel 1913 una legge del governo Giolitti istituì la Pianta Organica delle Farmacie e la farmacia Pierandrei ottenne il "riconoscimento di legittimità" in quanto farmacia ventennale.
La farmacia del Quirinale era una "grande farmacia": tale attributo diversificava fin dal 1700 le farmacie che disponevano di laboratorio in grado di produrre i "Farmaci da Banco".
Il laboratorio della farmacia del Quirinale era al n° 46 della stessa strada, e vi si preparavano elisir, bevande salutari e prodotti di una certa notorietà quali: le "Gocce digestive Pierandrei" e lo sciroppo "Rabarbaro composto Pierandrei". Il dottor Pierandrei, importava anche prodotti innovativi della chimica tedesca come il ricostituente "SANATOGEN": occorre infatti considerare che nell'Italia del 1900 l'alimentazione era carente dei nutrienti essenziali, sbilanciata, scorretta e ciò determinava diverse patologie, per cui i ricostituenti erano ritenuti importanti, quindi se ne faceva largo uso.
La farmacia del Quirinale era ovviamente anche la farmacia di riferimento per i membri di Casa Savoia, in particolare utilizzata dalla Regina Elena. La Regina, infatti, era appassionata di medicina e farmacologia e si dedicava personalmente all'assi-stenza dei malati, promuovendo anche strutture sanitarie ancor oggi funzionanti, quali l'Istituto Regina Elena per la cura dei tumori e l'Istituto per la Riabilitazione dei Poliomielitici, adiacente a Palazzo Chigi in Ariccia.
 

Nel 1904 il Re Vittorio Emanuele III acquistò per 610.000 lire - sarebbe più corretto dire "riacquistò" dato che la villa era stata precedentemente venduta da Vittorio Emanuele II - il parco di Villa Ada sulla via Salaria. Nel 1919 i reali vi trasferirono la loro residenza ufficiale, lasciando Quirinale di cui non amavano il fasto barocco, perché il vasto parco permetteva loro di godere di un quotidiano più semplice e più aderente al loro austero stile di vita.
Nel 1909, fu varato il 1° Piano Regolatore di Roma, nel quale era previsto il Quartiere Verbano progettato dall' Ingegnere Dario Barbieri, essenzialmente per gli impiegati statali, ferrovieri, etc.. A partire da 1925 il quartiere fu realizzato dall'Istituto Nazionale Case Impiegati Statali (INCIS); era destinato a circa 10.000 persone, con tutti i servizi: la scuola (il prestigioso liceo Giulio Cesare), la posta, la chiesa (S. Saturnino), il parco Nemorense o Virgiliano in onore del poeta mantovano inaugurato dalla Regina Elena e dal Governatore Boncompagni e, naturalmente, la farmacia. Piazza Verbano, ampia e rotonda, con siepi ben mantenute al centro, veniva anche usata per le manifestazioni della Croce Rossa, con l'intervento della nuova vicina di casa, la Regina, residente a Villa Ada. I più anziani del quartiere ricordano ancora la Regina Elena che, in tempo di guerra, andava personalmente a distribuire la minestra ai poveri nel circolo S.Pietro di Via Adige.
Il dottor Pierandrei ritenne opportuno seguire la corte e nel 1927 trasferì integralmente nel nuovo quartiere la farmacia a Piazza Verbano ivi compreso il laboratorio chimico, conservando tutti gli stigli ed arredi originali costruiti alla fine dell'ottocento da artisti intagliatori di scuola senese. Questa "migrazione professionale", causa dell'origine remota della Farmacia Verbano, s'intreccia con la vicenda professionale di un altro farmacista, Umberto Ramundo che, originario di Cosenza, si era diplomato a Napoli. All'inizio del secolo lavorò come farmacista a Ceccano e negli anni '20 divenne titolare di una importante farmacia a Roma, in Largo Arenula, in prossimità del Ghetto, farmacia ancor oggi in attività condotta dalla dottoressa Grossi.
Si trattava di una farmacia di tipologia diversa da quella del Quirinale, essendo strutturata per il primo soccorso in tempi in cui il telefono non era diffuso capillarmente e la rete ospedaliera romana doveva essere ancora completata. Una parte dei locali infatti era riservata al medico del quartiere, il dottor Capparoni; nel laboratorio dislocato nel retro si preparavano i farmaci, e nella parte anteriore ne veniva effettuata la dipensazione al pubblico. Nel 1936 il dottor Ramundo decise di trasferirsi in una nuova zona di Roma, e trovò conveniente acquistare la farmacia di piazza Verbano per la figlia dottoressa Rosina.
Del dottor Umberto Ramundo è stato recentemente ritrovato un "Quaderno di Laboratorio", antico ricettario degli anni '20, un piccolo quaderno dalla copertina nera, consunta dall'uso e sbiadita dal tempo, da cui si possono ricavare elementi utili per conoscere, sulla base delle ricette diligentemente annotate, il quotidiano di una farmacia agli inizi del '900. Sfogliandolo troviamo formule di preparazioni galeniche, specialità medicinali, prodotti per l'igiene e anche prodotti estranei alla cura della salute come smacchiatori per tessuti, emulsioni per pulire i mobili e reattivi chimici da usare in laboratorio.
Le preparazioni galeniche magistrali costituivano la parte predominante dell'attività di laboratorio del farmacista; nel quaderno ritroviamo registrate ricette di medici dell'epoca, ad esempio del professore Pesaresi, del professore Menier, del dottor Olivetti e del professor Capparoni, che esercitava la professione di medico nei locali della farmacia di Largo Arenula.
Allora il medico prescriveva formulazioni di sostanze medicinali personalizzate, che successivamente il farmacista preparava secondo arte. Questi pertanto doveva dare una risposta tecnica precisa, tanto più necessaria nei casi di prescrizioni mediche in cui erano previsti principi attivi, le cui dosi erano talvolta al limite della pericolosità. Nel quaderno troviamo, ad esempio, formule contenenti derivati dell'arsenico, del piombo, del mercurio; altre con piante tossiche come il veratro, l'aconito, il colchico, la noce vomica e la belladonna e sostanze come il cloralio e il cloroformio.
A titolo di esempio ci si può riferire alla preparazione di pillole di colchicina usate nella cura della gotta. Nella loro formulazione sono utilizzati: un principio attivo, cioè la colchicina estratta dal tubero e dai semi del colchico autunnale, e un estratto fitocomplesso, quello di aconito analgesico, ottenuto dalle foglie e dalle radici dell' Aconitus napellus. Tale preparazione richiedeva tutta l'abilità, la competenza e la precisione del farmacista in quanto le due droghe - aconito e colchico - erano utilizzate in dosaggi limite: la differenza tra la dose terapeutica e quella letale è infatti minima.
Nel quaderno sono contenute anche formule di specialità medicinali quali la micranina Nager, la pomata De Angelis e lo iodosan; infatti le specialità - per un certo periodo - si preparavano in farmacia. Solo successivamente la terapia medica abbandonò le formulazioni galeniche magistrali, volgendosi prevalentemente all'impiego di specialità medicinali prodotte dall'industria.
Il dottor Ramundo aveva ottime qualità di preparatore e per i frequentatori della sua farmacia confezionava anche bevande salutari come l'elixir di china. Analizzando le sue formulazioni, si comprende come egli cercasse di contenere i costi per i clienti con accorgimenti diversi, tra cui l'utilizzo di sostanze più economiche, ma ugualmente efficaci da un punto di vista terapeutico: ad esempio, sostituendo l'olio di mandorle dolci con l'olio di oliva; l'ittiolo con il tumenolo, suo succedaneo.
La maggior parte delle materie prime impiegate nel suo laboratorio proveniva dal mondo vegetale, e erano conservate in vasi di materiali e forme diverse ognuno dei quali era dedicato ad una specifica materia prima. Nelle vetrinette della stigliatura della Farmacia Verbano, è ancora esposto l'intero corredo di vasi che contenevano le sostanze medicamentose usate in laboratorio fino agli anni '50; in alcuni ancora si trovano tracce di tali sostanze. Grazie a questo corredo e al Quaderno si è potuto ricavare l'elenco delle "droghe" vegetali usate: esse sono risultate essere 65.
Tra questi contenitori si possono citare le potiches in porcellana bianca marcate Ginori del XX secolo, decorate con semplici filettature in oro e recanti il nome del composto, racchiuso in un elegante cartiglio blu ed oro, gli albarelli in maiolica e le bottiglie di vetro cristallo.
Tra le materie prime non compaiono prodotti strani come gli occhi di gambero e il sangue di drago il cui uso in terapia si basava su superstizioni e leggende; mentre si trovano piante della medicina popolare impiegate in base all'esperienza dello speziale, senza che egli conoscesse scientificamente meccanismi d'azione e principi attivi di quelle droghe.
Oggi si conoscono proprietà e composizione chimica di quelle piante, e soprattutto la loro tossicità, tant'è che per molte oggi è regolamentato se non vietato l'uso terapeutico; è il caso dell'oppio, della cocaina, del veratro, del lauceraso, dell'aconito, della belladonna, dello stramonio e della noce vomica. Dal Quaderno si ricava che l'oppio era di uso comune in medicina come sedativo; infatti, associato alla belladonna nella polvere del Dower calmava la tosse convulsa; incluso nell'Elixir Paregorico serviva come ipnotico.
Per i seri problemi e rischi di abuso dell'oppio e degli altri stupefacenti, il Legislatore ha da tempo adottato una rigida regolamentazione che ne vieta l'uso nel laboratorio delle farmacie, anche se l'oppio in polvere resta comunque iscritto nella Farmacopea Ufficiale Italiana (F.U.I.).
Il Quaderno rivela anche l'esistenza di forme farmaceutiche ormai in disuso, come le candelette uretrali, gli elettuari (prodotti galenici a base di polpe ed estratti impastati con sciroppi, miele o resine), gli empiastri da applicare esternamente su tela.
In definitiva il quaderno descritto, prezioso documento storico, costituisce una ulteriore testimonianza dell'ingente patrimonio di esperienze, studi, ricerche, dedizione al servizio per i cittadini che è alla base e all'origine della professione del farmacista. Ed è questo patrimonio che anche oggi, nella Farmacia Verbano, senza alcuna soluzione di continuità viene aggiornato, utilizzato e condiviso dagli attuali professionisti che vi lavorano. Ed è per questa cultura e spirito di servizio che il laboratorio chimico-farmaceutico è tutt'ora attivo a pieno ritmo: "L'ARTE DELLA PREPARAZIONE DEI FARMACI" continua a costituire per tutti l'aspetto più gratificante della professione di farmacista.